giovedì 17 aprile 2014

L'ultimo volo Cap.12

Capitolo Dodicesimo
UN'ALTRA BOCCA DA BACIARE
(parte seconda)

– Ma questa sera sembri Jane!- disse lui con il suo sorriso disarmante e la battuta pungente che rese perplessa Monnie. In risposta, con il suo sorriso innamorato, chiese a Nik di ripetere, dato il frastuono della  musica della festa, poiché non aveva capito bene il senso di quella battuta. Nik , che era in compagnia di un suo amico, ripeté quella battuta un paio di volte ma Monnie non riusciva proprio a capire il senso di quel suo esclamare. Alla fine lui aggiunse : - Dai, Jane, quella di Tarzan, della giungla. Sei vestita come Jane. Come per dire una “bella gnocca”…-  e dopo iniziò a ridere compostamente. Pochi secondi e Monnie  capì il senso, ma, essendo stata ferita come persona, paragonata  solo come “una donna molto sensuale e molto intraprendente”, reagì sarcasticamente rispondendo a Nik : -Ahhhh, quindi io Jane, ma tu Cita! Ahahahahahah” e scoppiò a ridere, fragorosamente, per metterlo in imbarazzo davanti al suo amico, paragonandolo a uno scimmione. E ci riuscì. Il tentativo di risultare simpatico con quella battuta era fallito poiché all’imbarazzo di Monnie si ripose con altro velenoso imbarazzo. Possibile che era così incapace anche lui di gestire le sue emozioni, allontanando il suo passato? Quanta sensuale indifferenza sprigionavano le sue parole e i suoi gesti nei confronti di Monnie! E quando la discussione stata iniziando  diventare una gara battute sarcastiche, dense di cinismo e cattiveria gratuita, Monnie si allontanò e per il resto della serata non lo cercò più.

Un maggio così poco primaverile avvolse i suoi giorni, ed oltre al lavoro,  che per fortuna le garantiva una minima certezza durante tutte le sue peripezie del cuore,      era impegnata ad organizzare uscite con amici appassionati di  fotografia come lei. Una piccola parentesi ancora con Vemis, ancora altri baci e un pomeriggio di sano sesso ristoratore, come se non si fossero “mai” lasciati. Si comportavano come una coppia capricciosa: si lasciavano, si riprendevano, avevano voglia di coccolarsi e di amarsi, anche se di “amore” Monnie sentiva di provarlo solo per Nik. Si strusciavano, si abbracciavano e si lasciarono. Questa volta Monnie fu decisa e da quella sera non tornò più indietro: non sarebbe più stata disposta a vivere quel rapporto a metà, neanche più occasionalmente come avevano appena fatto. Erano due anime in pena, entrambi smarriti e delusi da relazioni precedenti, incapaci di fermarsi in un perenne altalenare di emozioni e  con la fame e la seta di conferme, in quel loro continuo mutamento. 

Ogni volta che Monnie prendeva una decisone così radicale, il senso di vuoto le attanava il cuore, lo stomaco e i pensieri. Maggio era già arrivato ma il suo tepore sembrava lontano. Pochi giorni dopo aver lasciato Vemis, complice la sua amicizia con Annie, un certo Taninem entrò in punta di piedi nella vita di Monnie.  
Trentenne, alto, magro, occhi verdi e barbetta incolta speziata, dalla voce calda e dall’ atteggiamento divertente, con la battuta pronta e un cinismo disarmante ma non pesante. Il ritratto del perfetto bambino che vive nel limbo tra la coscienza di essere grande e l’incapacità a comportarsi come tale. Appena rientrato in Italia dopo alcuni mesi passati all’estero per lavoro, per uno stage in marketing poiché laureato in ingegneria gestionale, Taninem, tanto amico della estroversa Annie, iniziò a sentirsi e a voler conoscere Monnie, che in quel momento, l’ultima cosa a cui pensava, era quella di innamorarsi ancora. Taninem era scherzoso, solare, non metteva fretta, Monnie, oltretutto, raffreddava i suoi bollenti spiriti, perché in fondo non è che poi le interessasse questo tipo, più che altro considerava il lato positivo delle cose: la faceva star bene sentirsi ricercata, desiderata, le metteva buon umore e non pensava più né a Vemis né a Nik. Quest’ultimo, ebbene sì, lo rincontrò ancora una sera in cui lei era un po’ brilla, ma tanto lucida da parlagli ancora e flirtare spudoratamente con un suo amico che le faceva una corte serrata. A quel punto Nik divenne geloso, cercava di riconquistare punti, la “donna” era solo sua, un po’ ridere ma chissà in fondo quale verità. Ma non ci sarebbero mai stati dubbi se lui avesse voluto: Monnie era a lui devota, avrebbe amato solo lui per tutta la vita e avrebbe voluto avere una vita insieme, una famiglia,  dei figli, una vita nomale, prevedibile senza il luccicare di feste e champagne scaduto. Nessun avrebbe mai più si sarebbe permesso di sfiorarla, con le mani e con i pensieri se lui le avesse solo detto un misero “forse”. Ma il suo carattere è contraddittorio, di chi vorrebbe amare e lasciarsi amare ed invece respinge per la paura di soffrire ancora, paura di esser abbandonato ancora. Monnie non l’avrebbe mai lasciato, ne era terribilmente sicura, e nei suoi pensieri, in realtà, non era mai sparito.
Per quale motivo lui ancora non si fidava di lei? 
Questa piccola parentesi si verificò la sera prima che Monnie si decise di incontrare Taninem di persona, in una domenica pomeriggio di metà maggio in cui si iniziava a respirare un po’ di primavera. Quell’incontro fu tranquillo per Monnie che aveva negli occhi gli occhi malinconici e adorabili di Nik stampati dentro, e mentre guardava quel giovane ragazzo, cercava di capire se sarebbe dovuta uscirci di nuovo, se si sarebbe mai innamorata di lui e se sarebbe mai stato all’altezza dell’amore che provava per Nik. Incontrarsi, per vedersi, conoscersi, per sapere se lei “ci sta”, e dimenticare la vera ragione per cui il mondo si muove: l’amore. Ma quello, quello vero Monnie sentiva di provarlo solo per Nik.

Nei giorni che seguirono, Monnie era ancora vittima della felicità di aver rivisto il suo medico personale, quindi non si interessò minimamente all’ingegnere dal sogghigno simpatico, che intanto sembrava sempre più interessato a parlare, a scherzare, a conoscere la maestrina e la cercava in un modo discreto ed efficace, fino a quando ella si decise, dopo una decina di giorni dal primo appuntamento, a uscirci un’altra volta, sempre in qualità di “amica”, per una cena veloce e tante chiacchere. La sua sospettosità nei confronti di Tanimen stava per cedere, parola dopo parola si ritrovava nelle sue parole, nelle sue esperienze, e più lo guardava e più vedeva in lui il compromesso tra James e Nik, sia per somiglianza fisica ai due sia per alcuni aspetti della loro vita. Quella sera, la riaccompagnò, si salutarono, lei sentì qualcosa dentro di sé, scese veloce dalla macchina e entrò dentro il grande portone del palazzo di casa. Cosa era successo? Quale sensazione strana aveva adesso avvertito Monnie? Cosa era quella sensazione di voler baciare le labbra di Tanimen? Come aveva potuto dimenticare presto la sofferenza per aver allontanato Vemis? Quella stessa sera, Monnie si stese sul suo grande letto, le luci erano spente ma le luci dei lampioni della strada filtravano e rendevano chiara la penombra, come nella mente. Gli occhi sbarrati a guardare il soffitto, ancora qualche messaggio a Tanimen, per ricordargli della bella  e divertente serata passata insieme. Sorrisi, il cuore che si sentiva di più,  una strana sensazione di benessere, di pace e serenità e la voglia di quel bacio per capire se la passione si sarebbe accesa di nuovo. Una nuova idea, un nuovo sogno stava per sopperire la triste realtà di solitudine di Monnie.

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