martedì 24 dicembre 2013

L'ultimo volo Cap.7

Capitolo Settimo
IL GIOCO DEL SILENZIO
(parte prima)

Erano soli. In macchina poche parole di circostanze: il tempo, brevi commenti sulla serata,  sul cibo, l’organizzazione e altre stupidaggini. 
La tensione che si era venuta a creare in quel silenzio profumava di indifferenza, paura, angoscia ed ansia. Guidava tranquillo, parlava a scatti, ogni tanto balbettava, nessuna domanda diretta a Monnie, che si fingeva un forte mal di testa, magari il vino o l’ora tarda, ma fingeva e lei lo sapeva bene. Ogni tanto si girava e lo guardava in silenzio. Pendeva da ogni suo respiro, bramava quelle labbra, il suo alito e i suoi gemiti. Gli avrebbe voluto dire le cose più belle del mondo, ed  invece, cercava ma non forzava di parlagli, perché lui sembrava esitare. – Le pasta al pistacchio di questa sera non era buona per niente!Abbiamo proprio mangiato male.- gli disse per rompere quel pesante silenzio e lui :- Oh sì, non sapeva di niente, altro che pistacchio!- Lei allora gli sorrise e con un mezzo sorriso che sapeva di tenero ricordo aggiunse: -Certo,  non erano le mie pennette al pistacchio, quelle che abbiamo mangiato da me a Luglio!Ti ricordi? La mia era molto meglio!- . Lui ammutolì, qualcosa disse sottovoce ma Monnie non ascoltò, le bastò guardarlo mentre lui aveva lo sguardo perso nel vuoto, ma non perché attento alla guida, solo colpito dalle sue parole. Forse lo avevano riportato indietro nel tempo, un tempo che non voleva ricordare. Ancora qualche parola scambiata su argomenti già discussi con lui, sembravano ripetizioni per Monnie ma fece finta di nulla, eppure erano parole già dette e non avevano alcun significato. 
Sotto casa sua, tra pausa e l’altra, le parole erano terminate e quando l’argomento si faceva più interessante, ecco che erano lì, davanti al cancelletto di casa. Seth non c’era, era rientrato a casa. Monnie avrebbe voluto. La voglia era tanta, si sentiva umida ad ogni suo sguardo, ma sperava che anche lui lo volesse, con la sua stessa passione. Pochi istanti, il saluto, la buonanotte e lei lo amava ancora. Lui in macchina, apparentemente tranquillo, sempre laconico, un saluto. Chiusa la portiera della piccola utilitaria bianca, con il cuore appassito e la certezza di averlo perso, mise la chiave nel cancelletto, lui aspettava ancora con il motore acceso. Monnie arrivò al portone, girò lenta la chiave e lui era ancora lì, ma lei non si voltò, aspettò. Aspettò ancora. Secondi eterni e poi spinse il portone ed entrò. Entrata nell’atrio, rimase ancora ancorata a quella porta e poi il rumore della macchina che andava via. Ed allora, niente scuse, chiuse gli occhi e capì di aver chiuso, di non aver speranze: non aveva avuto il coraggio di parlagli. Entrambi, chi per disinteresse, chi per paura o per il troppo amore, hanno soppesato le parole, gli sguardi, i respiri. Ma non erano amici, medico e paziente, amanti? Cos’erano? Erano tutto e ora non erano mai stati niente. Ma Monnie non voleva rinunciarci a lui, e quindi, mandò subito un messaggio al cellulare a Nik, con un disperato bisogno d’amore. “Torni indietro?”. 

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