CAPITOLO SEDICESIMO
L'appuntamento
(parte terza)
Lei
arrivò vicino allo studio medico, parcheggiò la macchina non troppo distante ed
era già in orario, ma in fondo, si sa che i dottori ti fanno sempre aspettare..quindi
arrivò alle 20 ma rimase qualche minuto in macchina e dopo un po’ scese e andò
alla ricerca dello studio medico. Il caos della città era diminuito, ma i
marciapiedi erano ancora attraversati dagli ultimi ritardatari, quelli che
entrano e comprano prima che i negozi, soprattutto gli alimentari, chiudano le
salacinesche. Monnie iniziò a dirigersi verso il numero 313, con gli occhi
puntati in alto. Ma superando il negozio di ortofrutta alla sua sinistra era
già arrivata al 317. Possibile? Fece, dunque, dietro fronte e a guardare bene
313 corrispondeva proprio ad uno dei due ingressi della bottega di frutta e
verdura! Scoppiò a ridere come una bambina : si accorse che le ultime parole di
Nik non erano state recepite al massimo e che quando lui parlava, lei aveva
iniziato a fantasticare di nuovo! Ma non si preoccupò questa volta, anzi, ne
rise di gusto e mandò un veloce sms a lui per sapere esattamente il numero
civico dello studio. Le sembrò imbarazzante, ma alla fine era necessario!
Quando
lui la chiamò per dirle esattamente il numero lei si incamminò subito, con aria
sbarazzina e rideva ancora tra sé e sé di come la vita la metteva sempre alla
prova con lui. Così arrivò, premette il tasto del citofono e..stac, il portone
si aprì, ma lei era ancora euforica dentro e fuori al telefono con la sua amica
Jovy, a cui doveva raccontare tutto, quasi in diretta: prima che le emozioni
venissero a galla era meglio razionalizzarle! Monnie stava per entrare nella
sala che era vuota. Nick uscì dalla porta che dava sulla sala d’aspetto, dopo
tre secondi , bello ed aitante come sempre, e lei ancora al telefono ancora per
qualche secondo sino a quando lei disse, con tono sensuale: “Ok, ci sentiamo
quando torni a casa. Va bene? Un bacio, sì,sì, a dopo”. Chiuse la telefonata.
–Ciao Nick, io..- e lui – Ma chi era al telefono? Era il tuo fidanzato?- Monnie
fu sopresa, non si aspettava una domanda così diretta ma subito, sorridendo,
gli disse, rassicurandolo, : -Oh, no! Sono tornata single da poco!Non era il
mio fidanzato!-.Lei continuò a sorridere, un po’ imbarazzata ma serena dentro,
mentre lui la fece accomodare in sala e lui si scusò con lei di non farla
entrare subito che stava completando una visita. Lei annuì e lui andò dentro
l’ambulatorio. Monnie sorrise, rise, sorrise di nuovo, e pensava che tra loro
due ci sarebbe stato sempre questo pizzicarsi dolcemente. E pensando a tutto
quello che lei aveva passato e fatto per lui, ancora sorridendo, si guardò
attorno e vide la sala dello studio: la disposizione delle sedie, il
ventilatore a piantana, le pareti azzurre, gli attestati di un giovane medico,
quello che lei avrebbe voluto fosse solo suo, ma non predestinato.
Ma non ebbe
in tempo di dilungarsi nelle sue fantasie che entrò in sala una donna, più o
meno della stessa età di Monnie, dagli occhi verdi, che si sedette vicino a lei
ed iniziarono un po’ a parlare del più e del meno. Monnie la scrutò
attentamente e pensò, chissà quante donne e ragazze più belle di lei lui avrà
avuto o potrà avere senza che lei possa essere “gelosa”, ma prima che il suo
smagliante sorriso si smarrisse, Nik aprì di scatto la porta dello studio e
accompagnò alla porta di ingresso due ragazzi dandogli le ultime indicazioni
mediche. Poi si girò e si rivolse a Monnie: il suo turno era arrivato. Dopo i
convenevoli, lui le fece vedere il suo regno, il suo studio e le altre stanze, soddisfatto di ciò che era
finalmente suo, e lei ne era contenta e non riusciva a smettere di sorridere e sentirsene lusingata: si
sentiva una paziente speciale! Quando lei lo guardava e lo ascoltava parlare,
lei riviveva gli ultimi sei mesi passati lontani da lui, o meglio, dal pensiero
di lui e le sembrava davvero strano parlagli da “amica”. Quanto amore ha dovuto
mai buttar al vento per essergli finalmente amica?
Dopo
la visita, Nik le consigliò un ulteriore controllo a distanza di una settimana,
niente di grave, solo che voleva essere più certo della diagnosi. Monnie non si
preoccupò, lei si fidava della sua
professionalità: se lui le avesse promesso la luna lei ci avrebbe
creduto...sempre. Quindi si sedettero, come dottore e paziente, alla scrivania
e lui iniziò a guardare l’agenda degli appuntamenti e continuarono a parlare,
di pezzi di vita fatta separati l’un con l’altro, di aneddoti simpatici solo
per guardarsi negli occhi e sorridere, nonostante tutto. Lui le stava scrivendo
il memo quando Monnie sentì il telefono squillare. Era Jovy, l’amica del cuore,
ma Monnie sfruttò la sua ultima carta per giocare un po’con lui e, non pronunciando né il nome né facendo
capire che si trattava di una donna, parlò al telefono con voce suadente e
sensuale. Sorpreso nuovamente, lui stavolta cercò di interrompere quella
telefonata con i suoi – Ma chi è al telefono?- per ben due, tre volte, con gli occhi di chi sa che ha perso il
primo posto, magari solo per senso del possesso che adesso Nik non aveva più su
Monnie: lei poteva appartenere anche ad un altro che non fosse lui. Lui la guardava mentre parlava al telefono,
nervoso e curioso com’era, desiderò per un attimo essere quella voce nel
telefono: una strana sensazione avvertiva nello stomaco, che non riusciva a capire. Tutto ciò che aveva
rifiutato era ancora lì, senza più ferite sanguinanti o melassa nelle parole: davanti
a lui una era seduta donna forte che, nonostante tutto, nonostante tutto il dolore,
che lui ignorava fosse esistito, era ancora all’in piedi , ancora più bella e
più solare di quando si conobbero, un
anno e mezzo prima, in quella sera di Marzo. Gli occhi di Monnie non erano umidi di pianto, non
più, e la sua voce era tornata sicura. Il suo travaglio interiore aveva cessato
di esistere.